Sirita, Vienna, van Ghelen, 1719

 ATTO SECONDO
 
 Cortile del palazzo reale in villa.
 
 SCENA PRIMA
 
 SIVALDO con guardie
 
 SIVALDO
 Ite; il bosco cingete; (Ad una parte delle sue guardie, la quale dipoi se ne va)
 e siate a regal figlia
 scorta e difesa. Io per lei temo ognora
 che le oscure foreste
510trascorre audace e le feroci... Oh dio!
 Pallida e sola a me sen viene Alinda,
 sua indivisa compagna.
 O come spesso è ver che de’ suoi mali
 l’alma è presaga!
 
 SCENA II
 
 ALINDA e SIVALDO
 
 SIVALDO
                                  Alinda,
515dove? E senza Sirita? Io che son padre...
 ALINDA
 L’esser più padre, ah! quasi oggi perdesti.
 SIVALDO
 Salva è la figlia?
 ALINDA
                                 È salva
 ma per virtù di generoso amante.
 SIVALDO
 Respiro. Il caso narra,
520che quai piacciono a l’occhio
 i dipinti naufragi,
 son giocondi al pensiero i rischi andati.
 ALINDA
 Erasi dato il segno
 di lieta caccia. Alto sonava il bosco
525di gridi, urli e latrati,
 alor che nel più chiuso odesi intorno
 rimbombar la foresta.
 Ed ecco uscirne minaccioso e torvo
 vasto cignal. L’orribil mole, il lungo
530fulmineo dente e gli occhi
 di foco scintillanti
 tremar fan l’alme più sicure e forti.
 Ei quasi disdegnoso
 di volgar preda, a la real tua figlia
535si avventa...
 SIVALDO
                         Ahi! Che in udirlo inorridisco!
 ALINDA
 Sirita, il volto scolorita alquanto,
 si fa cor nel periglio.
 Non può arretrarsi; e non si arretra. Il dardo
 drizzagli in fronte e ’l ferro,
540dove l’occhio segnò, vola e colpisce.
 Ma che? Di sangue asciutto
 torna lo stral, qual se colpito avesse
 infrangibil metallo.
 L’irato mostro, a lei già presso, arruota
545morso letale al bianco petto; ed ella,
 in volendo ritrarsi, inciampa e cade.
 SIVALDO
 Misero me!
 ALINDA
                         La sua caduta a morte
 fu che la tolse, poiché il dente acuto
 sol de la vesta il lembo
550squarcia in gran parte e a lei non reca offesa.
 Non si ferma il feroce. A lei già è sopra...
 SIVALDO
 Deh! Libera il mio cor. Chi la soccorse?
 ALINDA
 Ottaro fu. L’invitto
 corse, volò, snudò l’acciaro; al mostro
555pria ne l’aperta gola, indi nel ventre
 e tre volte lo spinse e tre l’ascose,
 sinché batter, spumando orribilmente,
 gli fe’ la terra con mortal percossa.
 SIVALDO
 Tutelar genio de la Dania e mio!
560Al suo liberator grata già attendo
 volger la figlia il guardo.
 ALINDA
                                               Odi e stordisci.
 Stava a la pugna inteso
 l’eroe. Sirita intanto
 s’alza, raccoglie l’armi, il dubbio mira
565cimento; e stassi in atto,
 non di fuggir, ma di tentar sua possa.
 Oh! Se a lui spazio alora
 fosse rimasto di guardarla in volto,
 fra loro, io ne son certa,
570riscontrato si fora occhio con occhio
 e ad un punto egli dome avria due fere.
 Ma stesa a pena al suolo
 l’immane belva, a la real donzella
 il vincitor si appressa;
575né quel parea; tremante,
 chiede di sua salute e che gradisca,
 priegala, un atto di dover, di amore.
 SIVALDO
 Che fe’? Che disse? Che rispose alora?
 ALINDA
 Fisa le luci a terra
580«Prode» li disse «a te mia vita io deggio.
 De l’opra illustre ricompensa attendi
 e dal cielo e dal padre».
 Mosse, ciò detto, entro la selva il passo,
 ratta così che parea strale e vento,
585e lui lasciò che parea gelo e sasso.
 SIVALDO
 Misero prence! Sconoscente figlia!
 ALINDA
 Dietro l’orme di lei corse Romilda.
 Io più lontana e del timor passato
 ripiena ancor, spirto non ebbi e lena
590di più seguirla.
 SIVALDO
                               Al rischio
 tolta la veggo e pur rimango in pena.
 
    Superba e ria beltà,
 non macchia tua onestà l’essere amata;
 ma offende tua virtù l’essere ingrata.
 
595   Se al basso e indegno amante
 usi rigor crudel, sei giusta e forte,
 se al nobile e fedel, vile e ostinata.
 
 SCENA III
 
 ROMILDA e li suddetti
 
 ROMILDA
 Tosto, o signor...
 SIVALDO
                                 Romilda...
 ROMILDA
 Di Sirita in soccorso
600rompi ogn’indugio.
 SIVALDO
                                      Sua sciagura intesi.
 ROMILDA
 Né corri a ripararla?
 SIVALDO
 Il tuo germano non la tolse a morte?
 ALINDA
 Giace l’estinta belva.
 ROMILDA
 Ma l’empio rapitor festeggia inulto.
 SIVALDO
605Qual rapitor? Che nuovo male arrechi?
 ROMILDA
 Iroldo...
 ALINDA
                  E che?
 ROMILDA
                                 Di armati cinto e d’armi,
 nel più folto del bosco
 rapì tua figlia.
 SIVALDO
                             Iroldo?
 ALINDA
 Cotanto osò?
 ROMILDA
                           Me, che tentai di oppormi,
610sì fiero risospinse
 che misurar, quant’era,
 mi convenne il terreno; e tal lasciommi.
 SIVALDO
 Donde fu al grave eccesso
 spinto il fellon?
 ROMILDA
                               Da speme
615d’involarne uno sguardo.
 ALINDA
                                                E l’ebbe?
 ROMILDA
                                                                    Appunto,
 qual se stretto in sue braccia
 un insensato avesse idolo e tronco.
 SIVALDO
 E al primo error nuovo delitto aggiugne,
 col non lasciarla in libertà?
 ROMILDA
                                                   Confida
620di espugnar col terror l’alma costante.
 SIVALDO
 Né lo sgomenta un genitor regnante?
 ALINDA
 La legge di Sirita è sua discolpa.
 SIVALDO
 No, legge non v’è mai che dal rispetto,
 che si deve al suo re, sciolga un vassallo.
 ALINDA
625L’amor d’Iroldo...
 SIVALDO
                                   Iroldo
 disperi del suo amor, tema il suo fallo.
 
    Se anche un guardo involerà,
 non avrà la sua mercede;
 
    e in lui vendicherà padre regnante
630le colpe del vassallo e de l’amante.
 
 SCENA IV
 
 ROMILDA e ALINDA
 
 ROMILDA
 Frutto di sua perfidia.
 ALINDA
                                           E tu ne esulti?
 ROMILDA
 Già comincio a gustar la mia vendetta.
 ALINDA
 Può da l’amore a l’odio
 passar sì tosto un core?
 ROMILDA
                                             Il può, se è forte.
 ALINDA
635Amasti Iroldo; e forse l’ami ancora.
 ROMILDA
 Taci. È vero. In quest’alma,
 dacché ’l vidi infedel, spenta di amore
 non era ogni scintilla.
 ALINDA
                                          E incendio spento
 per scintilla risorge.
 ROMILDA
640Ma que’ deboli avanzi
 l’ultima offesa estinse; e l’odio accese.
 ALINDA
 Non t’infinger, Romilda.
 Non ti muove sì a sdegno un tradimento
 che più non ti lusinghi una corona;
645e per un re si perde
 volentieri un amante.
 ROMILDA
 Sinché Iroldo fu fido, io fui costante.
 A l’amor suo svenate io tutte avea
 le lusinghe di un soglio
650e, s’or vi assente il core,
 per vendetta lo fa, non per orgoglio.
 ALINDA
 L’infedeltà d’Iroldo
 per te è favor, quando la stimi oltraggio.
 Ella ti dà il diadema; e tu dovresti
655goder, poiché dipende
 il tuo regio destin dal suo riposo,
 ch’egli sia di Sirita amante e sposo.
 ROMILDA
 Sì pietosa ad Iroldo
 perché, Alinda, perché?
 ALINDA
                                              Fedele amico
660provano i casi avversi.
 ROMILDA
 Eh! No, tanta pietade
 non è tutta amistade.
 ALINDA
 Del rimprovero tuo cerco l’arcano;
 ma nol comprendo. Io che d’amor nemica...
 ROMILDA
665Non lo dica il tuo labbro. Ottaro il dica.
 
    Tu ad amor non dai ricetto;
 e in custodia del tuo petto
 sta innocenza e libertà.
 
    Te felice! Oh! Dal tuo core
670di virtude e di rigore
 prenda esempio ogni beltà.
 
 SCENA V
 
 ALINDA
 
 ALINDA
 Mal può celarsi amore; egli trabocca
 dagli occhi e da le labbra.
 A tradirne il segreto
675tutte congiuran le parole e gli atti.
 Il suo stesso silenzio è in lui loquace
 e parla un cor, quando sospira e tace.
 
    Non è possibile
 tener sepolto
680né amor né foco.
 
    Con fumo o vampa
 si scuopre alfine
 e tra ruine
 si fa più loco.
 
 Campagna con principio di bosco.
 
 SCENA VI
 
 IROLDO uscendo del bosco
 
 IROLDO
685Tutta su me versaste
 la vostra rabbia, o stelle. Infausto punto,
 in cui mi entrò ne l’alma
 dIsio di regno e avvelenò la dolce
 pace de l’amor mio!
690Io perduta ho Sirita.
 Io Romilda ho tradita. O regno! O amore!
 O Sirita! O Romilda! O voti! O beni!
 Tutti già mia speranza, or mio dolore.
 
 SCENA VII
 
 SIVALDO con guardie e IROLDO
 
 SIVALDO
 Audace e reo vassallo, a te, su l’orme
695del tuo misfatto enorme,
 viene un re punitor. Mal ti sta in fronte
 cotesto tuo tardo timore e vile.
 Temer pria de l’offesa
 dovevi il tuo sovrano.
700Or cadrà sul tuo capo
 quella, che provocasti e che hai negletta,
 degna di re e di padre, alta vendetta.
 IROLDO
 Signor, ciò che in Iroldo
 chiami colpa, è già colpa.
705Son l’opre di chi serve,
 quai le giudica il re, buone o malvage,
 di certi a guisa coloriti oggetti
 che, posti in vario lume, a l’occhio istesso
 sembran vaghi o deformi.
 SIVALDO
710Uom non v’ha più perverso
 di quel che stima esser virtù la colpa
 e che senza rossor pecca e con fasto.
 Con mano scellerata
 rapir figlia real, ne la più cara
715parte oltraggiarmi, opra sarà di lode
 degna e di premio? Avrà discolpa e merto?
 IROLDO
 L’avrà, se sofferente odi mie voci.
 SIVALDO
 Non si negan difese al reo più iniquo.
 IROLDO
 La malizia de l’uom fu che nel mondo
720introdusse i misfatti.
 Nacquer quindi le leggi
 a lor pena e terror. Ma quando udissi
 o che legge imponesse atto malvagio
 o che a legge ubbidir fosse delitto?
725Legge non fu de la real tua figlia,
 e tuo sovrano assenso,
 di porre in uso arte, terror, lusinga?...
 SIVALDO
 Sì, ma col farne abuso
 si ubbidisce a la legge?
 IROLDO
730Sta l’abuso nel fatto? O sta nel fine?
 SIVALDO
 E ne l’uno e ne l’altro io reo ti veggio.
 IROLDO
 Era il fatto permesso, il fine onesto.
 Fosse dono o rapina,
 io non volea che un guardo. Or qual mio fallo,
735se di amor disperando, usai la forza?
 SIVALDO
 Non più. Reo sei. Con più maturo esame
 peserò colpa e pena. A me fa’ intanto
 che si renda la figlia.
 IROLDO
                                         Ah! L’ubbidirti
 non è più in mio poter.
 SIVALDO
                                             Come?
 IROLDO
                                                             Sirita
740fu da rival più forte a me rapita.
 SIVALDO
 Passa di pena in pena un cor di padre.
 Narra, che fu?
 IROLDO
                             Seguito
 da’ tuoi custodi, in su l’uscir del bosco,
 Ottaro mi assalì. Fe’ mio rispetto,
745non suo valor, ceder la preda e ’l campo.
 SIVALDO
 Questa sia del tuo ardire
 la prima pena. Altra ne aggiungo; e fia
 il non più amar Sirita. Io vado incontro
 a la coppia diletta; e ti abbandono
750più a l’interno terror del mio gastigo
 che a l’incerto piacer del mio perdono. (Entra nel bosco)
 IROLDO
 
    Dietro l’orme a due candide cerve
 veltro son nella foresta
 che, seguendo e quella e questa,
755questa e quella a lui sen fugge.
 
    Qua e là gira e l’occhio e ’l piede.
 Fiuta, anela e torna e riede,
 sinché stanco in sul terreno,
 di lassezza egli vien meno
760e di rabbia si distrugge.
 
 SCENA VIII
 
 SIVALDO, SIRITA, ROMILDA, ALINDA, OTTARO, coro di cacciatori: coro di cacciatrici che portano il teschio del cignale, guardie reali, eccetera
 
 SIRITA, ALINDA
 
    Mostro fiero
 sotto i colpi d’invitto guerriero
 già cadde e spirò.
 
 CORO
 
    Diamo canto e diamo onor
765al valor ma più a l’amor
 de l’eroe che lo atterrò,
 
 MEZZO CORO
 
    Quel teschio orribile
 a tronco appendasi,
 trofeo di gloria
770al vìncitor.
 
 L’ALTRO MEZZO CORO
 
    Sempre è invincibile,
 quando a valore
 si unisce amor.
 
 TUTTI
 
    Sempre è invincibile,
775quando a valore
 si unisce amor.
 
 ROMILDA
 
    S’ami dunque e più non sia
 insensibil la beltà.
 
 MEZZO CORO
 
    Ostinarsi in ritrosia
780è un goder di crudeltà.
 
 SIVALDO
 
    Sprone amore è a le grand’opre
 e sia premio anche a valor.
 
 L’ALTRO MEZZO CORO
 
    Sconoscenza ci ricopre
 d’ignominia e di rossor.
 
 CORO
 
785   Possente amor,
 non manca al tuo piacer
 che in core ingrato e fier
 destar senso e timor
 del tuo poter.
 
790   Casto rigor
 arma beltà crudel;
 ed un suo sguardo ancor
 ricusa al suo fedel
 liberator.
 
795   Tuo disonor
 si fa lungo soffrir.
 Ma per poter ferir
 quel fiero ingrato cor,
 s’armi con te
800il merto e la fé
 del vincitor.
 
 SIVALDO e ROMILDA
 
    Sempre è invincibile,
 quando a valore
 si unisce amor.
 
 CORO
 
805   Sempre è invincibile,
 quando a valore
 si unisce amor.
 
 SCENA IX
 
 SIVALDO, OTTARO e SIRITA
 
 SIVALDO
 Ne l’applauso comun tu scorgi, o figlia,
 il comun voto e mio. Quegli, che offerse
810in due cimenti generoso e forte
 la sua per la tua vita,
 egli è l’eroe, chiaro di sangue e d’opre
 e per titoli illustre e per antico
 di stati ampio retaggio,
815Ottaro, a cui la Dania
 deve sua libertade, io mia grandezza.
 Regia o paterna autorità non uso;
 né t’impongo di amarlo. A te lo impone
 dover, virtù, riconoscenza e gloria.
820Seco ti lascio; e qual poc’anzi, ingrata
 non fuggir dal suo aspetto; odi il suo amore;
 e di nota sì turpe
 più non rimanga il tuo bel cor macchiato.
 Il cor più vile è quello de l’ingrato.
 
825   Non parlo al tuo rigor.
 Consiglio a la tua gloria il suo dover.
 
    Da un re genitor,
 che prega e consiglia,
 può mai nobil figlia
830inganno temer?
 
 SCENA X
 
 SIRITA e OTTARO
 
 SIRITA
 (Cor mio, siamo al cimento.
 Di Sirita sii cor. Resisti e vinci).
 OTTARO
 Non, se cento in battaglia
 poderosi nemici avessi a fronte,
835non, se il più de la Libia orrido mostro,
 tanto avrei di terror, quanto al tuo aspetto,
 real vergine eccelsa.
 Ma più d’ogni altro me spaventa e lega
 il timor di spiacerti,
840me che sol di gradirti amo e disio.
 SIRITA
 Se riposto nel mio
 avessi il tuo piacer, per te ridotta
 a questa or non sarei
 dura necessità, non più sofferta,
845di udir voci di amante.
 Pur si ubbidisca al padre; e al cor si faccia
 qualche sforzo in tuo pro. Parla. Ti ascolto.
 Ma gitterai prieghi e speranze al vento.
 OTTARO
 A te, bella d’amor madre e nemica,
850come d’amor parlar, se non l’intendi?
 Come fede vantar, se non la curi?
 Pur se di onesta ricompensa e lieve
 degni onorar miei voti,
 dimmi, ten priego, onde sei mossa a tanto
855di amore abborrimento?
 In te credo ragion la sua condanna;
 ma convinci il mio cor. Tu sii più giusta.
 Ei più vegga il suo torto;
 e sia mia pace il disperar conforto.
 SIRITA
860Vuol sorprendere un’alma
 chi ne cerca gli arcani.
 Ma insidia conosciuta è già schernita.
 Parli pur l’odio mio, parli e non tema.
 Ei nasce, uomini infidi,
865da la vostra incostanza.
 Se noi credule meno
 fossimo a’ vostri inganni, o voi sareste
 più fidi o noi più forti.
 Già l’esempio di tante
870mi addottrinò. Sorda agli amanti e cieca
 le lor frodi spavento; e col mio sdegno
 fortezza a un sesso e fede a l’altro insegno.
 OTTARO
 Quanto fiera, sei giusta.
 Ma se amator trovassi
875e sincero e fedel?
 SIRITA
                                   Dove sperarlo?
 Mille prove d’amor strugge un momento.
 OTTARO
 E momento non trovi, in cui si assolva
 nel tuo core un amante?
 SIRITA
 Sì, ma il sol de la vita ultimo instante.
880Sinché spirto v’ha in uomo,
 esser vi può incostanza;
 e se mai tra la vita e tra la morte
 due fossero i momenti e sino al primo
 trovato avessi un cor costante e fido,
885senti, ancor temerei
 ch’ei potesse ne l’altro essermi infido.
 OTTARO
 Orsù, mia principessa,
 Ottaro sia, qual tu lo chiedi, amante.
 Volgiti ed a’ tuoi sguardi
890non si nieghi il piacer di un gran trionfo .
 SIRITA
 Parla, che di ascoltarti è mio dovere
 e questo ufficio non incombe agli occhi.
 OTTARO
 Ma se il guardo non regge (Snuda la spada)
 questo, ch’io ti presento, ignudo acciaro,
895mal troverai la strada al cor che anela
 di tua mano a la morte.
 Stringilo e fa’ ch’ei perda (Gliela presenta)
 una tinta di sangue,
 versato a tua salvezza, e n’abbia un’altra,
900donata a la mia fede.
 Su, qui ferisci; e ’l solo ultimo instante
 e ti doni e ti tolga un fido amante.
 
    Bianca man, chiedo a te morte,
 a te fede, alma crudele.
 
905   Occhi, a voi non chiedo pianto,
 che negaste, avari tanto,
 anche un guardo a cor fedele. (In replicando l’aria s’inginocchia e prendendole la mano gliela bacia; ma lei ritirandola e scostandosi da lui, esso rimane inginocchioni)
 
 SIRITA
 (O dio! Qual non più inteso
 turbamento ne l’alma?
910Pietade, gratitudine, dovere,
 patria, re, genitor, che mi chiedete?
 Si ascolti la mia gloria e voi tacete).
 Principe, il tuo valor mi ha tolta a morte.
 Stimo al par del tuo merto
915la tua virtù. Se il cielo
 dato mi avesse un core
 sensibile ad amore,
 ei saria tua conquista.
 Più dir non posso. Troppo
920forse ancor dissi; e tu, se giusto sei,
 non esiger di più. Voler ch’io t’ami
 è un volermi avvilita,
 e ch’io ti offenda, ingrata.
 L’un fa torto a l’onor, l’altro al dovere.
925Risparmia a la mia gloria
 un delitto e un rossor.
 OTTARO
                                           Facciasi; e serva (Levandosi con impeto)
 un amor disperato a tua fierezza.
 Col tuo bel nome in bocca,
 Sirita, ecco mi uccido. (In atto di volersi ferire)
 SIRITA
930Aimè! Del rischio andato
 sento or l’orrore. Aita. Io manco. Io moro. (Mostra di svenire, lasciandosi cadere sopra uno sterpo)
 OTTARO
 Che veggio? Impallidita
 sviene. Già cade. O cieli! (Corre a sostenerla e le lascia cadere a’ piedi la spada)
 O in fosco orror sepolti,
935occhi, or vi apriste e morirei beato.
 Che tardo? Umor vitale
 mi appresti il vicin rio... (Si allontana alquanto e Sirita allora si leva e con prestezza raccoglie di terra la spada caduta)
 SIRITA
 Ferma. Già ’l cor rinvenne. Ottaro, addio.
 
    Vivi, s’è ver che m’ami;
940stima e pietà ho per te;
 ma non sperar di più.
 
    Che se morir tu brami
 vinto da rio furore,
 mostri aver poco amore
945e meno di virtù.
 
 SCENA XI
 
 OTTARO
 
 OTTARO
 Comincio a disperar. Pietade e stima
 mi promette e mi mostra un empio core.
 Qual pro? Stima e pietade
 sono un oltraggio a chi ricerca amore.
 
950   Chi ben ama
 cambio vuol d’alma con alma
 e non brama
 un’inutile pietà.
 
    Egra salma,
955già vicina a perder vita,
 chiede aita.
 Per lei pianto è crudeltà.
 
 Ballo di cacciatori e cacciatrici con cui termina l’atto secondo.